La Roma apocalittica di Tommaso Pincio
“Ma i romani esistono davvero?” Un tempo forse, ma adesso a Roma di romani non ce ne sono più: tutti emigrati al Nord fino in Danimarca, lasciando la città, popolata da solo mezzo milione di persone, in mano ai cinesi. Questo è lo scenario in cui si svolge Cinacittà, memorie del mio delitto efferato, ultimo romanzo dello scrittore Tommaso Pincio.
Un uomo scrive dalla sua cella a Regina Coeli dove sta scontando trent’anni per aver ucciso una donna. È lui la voce narrante, ma non sappiamo quale sia il suo vero nome, anche se il coprotagonista, Wang, lo chiama Marcello, come il giornalista Marcello Rubini de “La Dolce vita”.
Il libro nasce nella suite 541 dell’Hotel Excelsior di Roma. È il luogo dove Kurt Cobain tentò per la prima volta il suicidio, lasciando un biglietto con su scritto «Come Amleto, devo scegliere tra la vita e la morte». Qui l’autore viene chiamato dalla Rai per registrare un’intervista e mentre è seduto sul divano comincia ad immaginare una città apocalittica, dove la temperatura è sempre vicina ai cinquanta gradi, dove la vita è praticamente impossibile tanto da costringere i suoi abitanti ad abbandonarla, dove l’Excelsior è diventato un condominio scalcinato in cui vive il protagonista della storia.
Pincio, al secolo Marco Colapietro, e che ha preso il suo nome d’arte da Thomas Pynchon, il più postmoderno degli scrittori, ci trasporta nel futuro prossimo della nostra capitale in cui i cinesi sono i nuovi barbari, disprezzati dai romani di oggi, come i secondi lo furono da quelli di ieri.
(A. P.)