Leggere “Oblio” di Wallace è un esperienza demoralizzante ed esaltante. Ci si trova ingabbiati in una fitta rete di oniriche digressioni, stralunati tecnicismi, motivi ricorrenti che si mordono la coda, altalenanti verità in bilico tra le visioni di un idiot savage e il terrore di appartenere mediocremente alla media. Poi un messaggio appare, scavando l’involucro della forma, ed entra, molto dentro.
Anche se è difficile rendersene conto. Si è troppo impegnati e troppo ammirati, anche se qualche parola sfugge, e il dubbio, se di vuoto trattasi o di un abile esercizio di un funambolo che il vuoto si limita a deriderlo, si erge prepotente.
In occasione della ristampa de “La scopa del sistema” per Einaudi Stile Libero, andiamo a ripescare un Wallace acutissimo, proiettatosi negli otto romanzi brevi o racconti lunghi che compongono la raccolta. Ogni personaggio è un autoritratto della figura ellittica e tortuosa dello scrittore.
Non a caso, nel racconto “Caro vecchio neon” si narra di un individuo incapace di conciliare il tipo brillante che sembrava dall’esterno con ciò che dall’interno lo ha indotto a suicidarsi in modo teatrale.
Un personaggio, che ha un nome: David Wallace, e che a differenza della realtà è uscito felicemente da anni di sofferenze, si chiede con dolore cosa è successo e tira avanti. Il parallelismo con la tragica biografia si frantuma, il dubbio si dipana: “Oblio” è stato l’ultimo, riuscito tentativo di Wallace di esorcizzare se stesso.
(A. V.)