Le pagine dei libri di Philip Roth hanno sempre ospitato eventi della vita dell’autore trasfigurati in narrativa d’invenzione. Ma con “I Fatti. Autobiografia di un romanziere”, Roth non si nasconde più tra i protagonisti dei suoi libri e si mette in gioco in prima persona. Cinque gli snodi fondamentali della vita dell’autore di Newark che vengono indagati e ripercorsi: l’infanzia felice e protetta, gli anni universitari, il difficile rapporto con quella che pure è “la ragazza dei miei sogni”, lo scontro con il perbenismo ebraico in seguito alla pubblicazione di Goodbye, Columbus e, inevitabilmente, gli anni sessanta che videro Roth osannato e aspramente criticato per Il Lamento di Portnoy (1967).
Eppure in questo libro, se non è Roth ad eclissarsi dietro i suoi personaggi, sono loro a farsi vivi e ad interagire con l’autore. A Nathan Zuckerman (personaggio principale di romanzi come Lo scrittore fantasma, Zuckerman scatenato, La lezione di anatomia), Roth immagina di inviare una missiva chiedendogli opinioni proprio sulla opportunità di pubblicare “I Fatti”: «Caro Zuckerman, (…) l’inviarti questo manoscritto, chiedendoti, come faccio, di dirmi se credi che dovrei pubblicarlo – mi spinge a spiegare cosa può avermi portato a presentarmi così prosaicamente, senza maschera».
Dunque, in questo libro – pubblicato originariamente nel 1987 e presentato in questa edizione nella traduzione di Vincenzo Mantovani -, Roth si presenta apertamente, senza remore e senza maschere, spinto dal bisogno di ripercorrere quelle tappe fondamentali della propria vita, in un momento delicato, quale è quello della crisi esistenziale ed emotiva che colpisce l’autore alla fine di un periodo di dieci anni di creatività. Un esaurimento nervoso che costringe in un certo senso Roth a fare i conti con se stesso e con le proprie certezze, dalla letteratura alla vita privata.
(Philip Roth, I Fatti. Autobiografia di un romanziere, trad. Vincenzo Montanari, Einaudi, 2013)
Fra. Amb.