Siamo negli States: San Francisco. Un ragazzo dalla vita travagliata incontra un ragazzo che suona la chitarra. Decidono di formare un gruppo, si chiudono in una stanza con tante pillole e scrivono un disco. Il gruppo in questione si chiama Girls, il disco si chiama semplicemente “Album” ed è una delle migliori uscite dell’anno.
Il fatto che sia un debut rende “Album” ancora più interessante: oggi come oggi è difficile trovare tanta maturità ed un sound così personale già dal primo disco.
Christopher Owens e Chet White, insomma, hanno senza dubbio lavorato bene: mischiano le carte e propongono un disco catalogato sotto l’etichetta di indie rock ma che dell’indie dei nostri giorni ha ben poco.
Le atmosfere di “Album”, infatti, più che gli Strokes e gli Arctic Monkeys ricordano i Beach Boys ed Elvis Costello, oltre che i gruppi storici dello shoegaze. L’opener “Lust for Life”, ad esempio, sembra uscita da uno degli album di Costello con i The Attractions, mentre “Big Bad Mean Motherfucker” non avrebbe sfigurato in un album dei Jesus and Mary Chain.
I risultati più sorprendenti del disco, però, vengono raggiunti in canzoni come “Ghost Mouth” o “Hellhole Ratrace”, meraviglie acustiche figlie dirette delle ballate grunge degli anni Novanta – con un raggio di sole in più.
I Girls, insomma, si faranno apprezzare da tutti, anche dai più esigenti: speriamo soltanto che non siano un fuoco di paglia.
(A. C.)