Estasi e tormento de "Il giovane favoloso"
Con “Il giovane favoloso”, titolo ispirato dal pellegrinaggio di Anna Maria Ortese alla tomba del poeta – «la grotta, in fondo alla quale, in un paese di luce, dorme, da cento anni, il giovane favoloso» – Mario Martone continua il suo personale percorso attraverso la storia italiana dell’ 800’ che ha caratterizzato, negli ultimi anni, la sua attività cinematografica.
Film per riscattare il poeta dall’immagine di santino sacro e così lontano dal vero cui un polveroso immaginario scolastico l’ha condannato.
Per la rappresentazione della vita di Leopardi, il regista si è attenuto strettamente agli scritti del poeta e al suo epistolario, e ciò che vediamo è quanto emerge dai documenti. La stessa presunta omosessualità allora diventa un cenno, una possibilità celata in quello sguardo al corpo nudo di Antonio Ranieri.
II discorso del regista è tutto proteso alla messa in scena, che ancora una volta muovendo da logiche teatrali, finisce con il farsi squisitamente cinematografica: la casa-biblioteca è vista come la gabbia in cui il talento del protagonista viene imprigionato nel confronto drammatico con la figura paterna e con il cattolicesimo estremista della madre visto come natura crudele.
Film fatto di contrasti a cominciare da quelli visivi (la splendida fotografia è di Renato Berta) che suonano potenti, ma anche grotteschi (i vicoli napoletani come presepi, il bordello come una taverna caravaggesca).
La stessa colonna sonora risponde a questo doppio registro, con la musica tradizionale che si associa a quella elettronica di Apparat e così anche il ritratto stesso del poeta, è sia personaggio teatralizzato che anima restituita nella sua quintessenza razionale e selvaggia, impetuosa e sconsolata.
And. Esp.