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Espiazione di Ian McEwan

Avrebbe potuto andare dalla madre subito, rannicchiarsi vicino a lei e mettersi a raccontarle la cronaca della giornata trascorsa. Se l’avesse fatto, non avrebbe mai commesso il suo crimine.

Tra le opere maggiori della narrativa mondiale troviamo molte storie incentrate sul tema dell’errore, anche involontario. In Espiazione (Einaudi), Ian McEwan non solo racconta la genesi di uno sbaglio importante, ma anche quanto questo abbia inciso sulla successiva esistenza di colei che lo ha fatto e di tutti quelli che lo hanno subito.

Al centro del dramma sono le parole: quelle che scrive Briony, che vorrebbe diventare autrice di successo, nel segreto della sua stanza, e quelle che scrive Robbie in una lettera di scuse alla sorella Cecilia che la ragazzina disgraziatamente legge.

A tutto questo si aggiungono immagini rubate qua e là dall’intimità dei due giovani, che si ricompongono nella mente di Briony formando un puzzle sbagliato ma credibile. In un crescendo di tensione la ragazza identifica in Robbie un maniaco capace di molestare la cuginetta Lola.

Per lui ciò significherà anni di carcere e un futuro incerto (ma sempre sostenuto dall’amore della sua Cecilia che non l’ha abbandonato) in cui si affaccia anche la guerra; per lei anni di pentimento ed espiazione, raccontati sino al finale che la vede (è il 1999) settantasettenne condannata alla demenza senile arteriosclerotica che la renderà dimentica di tutto. Alcuni hanno giudicato Espiazione il capolavoro dell’autore inglese, altri hanno frenato questo entusiasmo. È arduo schierarsi. McEwan non ci vuole rassicurare, non cerca il consenso preordinato e i canoni già conosciuti. Lasciarsi sorprendere fa parte del gioco.

G.S.

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