Un ragazzino seduto sulle scale, con un dolce incartato tra le mani. Un delizioso dolce da 5 cents con cui pagare la sua iniziazione sessuale. Peccato che Peggy, l’oggetto del suo desiderio, arrivi troppo tardi e lui, avendo divorato la ghiotta merce di scambio, sia costretto a risponderle: ”Sarà per un’altra volta!”. In una scena del genere, apparentemente marginale, c’è tutto: l’innocenza e la tentazione, l’infanzia e la maturità, l’ironia e la poesia. La tessera di un mosaico sfaccettato e complesso, che merita di essere ammirato nel suo insieme, ma anche nei singoli dettagli. È per questo che non si può non apprezzare l’iniziativa di The Space Cinema che, tra il 18 e il 21 ottobre, ridistribuirà nelle sale italiane C’era una volta in America, il capolavoro di Sergio Leone, in versione restaurata e, soprattutto, integrale. Sei blocchi di scene, per un totale di 26 minuti, ritrovate e ricollocate dalla Cineteca di Bologna. L’extended version è stata già proiettata lo scorso 18 maggio a Cannes. Ma ora sarà la volta del pubblico. Un’occasione per rivivere l’emozione del grande cinema, al cinema. E per rivalutare un’opera che in tanti suscita pur sempre un timore reverenziale o, peggio, quel distacco emotivo che si ha di fronte a certi “mostri sacri”. Eppure, nonostante lo sfondo storico, non è una storia così lontana, quella di David, detto Noodles.
David è un angelo dalla faccia sporca, ragazzino negli anni 1922-23, svezzato dalla dura scuola del Lower East Side di New York e precocemente avviato alla delinquenza. Ma non è un furfantello qualunque. È uno che legge Martin Eden e, proprio come il fascinoso personaggio di London, aspira al riscatto. E all’amore. Dalla feritoia di un bar spia Deborah (la giovanissima Jennifer Connelly), bellissima e ambiziosa coetanea che sogna di diventare ballerina. Ma la realtà li divide. Muovendo i primi passi nella malavita, David conosce Max, un intraprendente giovanotto che diventa il suo migliore amico. Insieme crescono negli anni del proibizionismo, diventando temutissimi gangster. Ma Max non sopporta “la puzza della strada” che David si ostina a portarsi dietro. Ha manie di grandezza, lui: sogna un colpo alla Federal Reserve. Siamo nel 1933, alla festa d’addio del proibizionismo. Tormentato dai dubbi, Noodles denuncia l’amico e, dopo una sparatoria con la polizia, vengono ritrovati i corpi senza vita dei suoi compagni, tra cui quello di Max, carbonizzato. 35 anni di sensi di colpa per l’amicizia tradita relegano David nell’anonimato, finché un invito del misterioso senatore Bailey lo induce a rientrare in scena. L’ex gangster è ingaggiato per un ultimo scottante incarico. E per l’anziano Noodles sarà il momento di una sconvolgente scoperta, nonché di una scelta che ridiscuterà la sua vita.
Per Sergio Leone, C’era una volta in America era il film di una vita. Una narrazione che interseca sapientemente tre livelli temporali e suggerisce almeno due linee interpretative. Si può leggere alla lettera, come il complesso romanzo di formazione di David. O come un’allucinazione da oppio di Noodles che, subito dopo la morte di Max, si rifugia in una fumeria proiettando, in un futuro fantastico, un conveniente sgravio di responsabilità. Ma al di là del plot, Leone parla al pubblico attraverso il suo colto linguaggio cinematografico: ammicca a Kubrick (la scena dell’ospedale è un chiaro riferimento ai drughi di Arancia Meccanica), all’America e soprattutto al patrimonio del cinema muto, fatto di gesti, di silenzi evocativi ed ereditato dalla lezione del padre Roberto Roberti. Servito da un cast eccellente, di cui si devono citare almeno i protagonisti De Niro e Woods, e accompagnato dallo straordinario commento musicale di Ennio Morricone, C’era una volta in America non è un film di gangster. È un atto d’amore per il cinema. Vederlo sul grande schermo, in versione integrale, è un’occasione imperdibile: l’occasione di sospendersi e vivere un sogno, come quello di David nella fumeria. Magari accompagnati da un sorriso, che è il suggello di questa grande magia.
D. D. F.