Addio, “coniglio”

Se non fosse un termine abusato, diremmo che il protagonista del romanzo di John Updike è un antieroe. L’alter-ego dello scrittore recentemente scomparso per un cancro ai polmoni è Harry “Coniglio” Angstrom. 
Un lungo viso pallido su cui è dipinto uno sguardo inespressivo, gesti impacciati di un promettente giocatore di basket ormai appesantito.
È nel 1960 che ha inizio questa saga personale, lunga ben cinque libri, e che sarà trasversale al destino della nazione americana.
“Coniglio” ci si rivela man mano: ha 26 anni, fa il venditore e una moglie che non ama che lo aspetta ogni giorno nella sua squallida casetta.
La sua corsa verso una nuova dimensione, lontano da norme e condizionamenti, inizia subito. E se per repulsione verso le sue debolezze siamo tentati di chiamarla irresponsabilità, presto ci accorgiamo come questo personaggio diventa emblema del suo tempo.
Il suo rifiuto cozza con l’indifferenza e con il senso di annullamento di una nazione enorme e insensibile.
La corsa è sussultoria, piena di arenamenti e ripartenze. Nonostante l’amore per una prostituta, “Coniglio” torna dalla moglie e dal figlio piccolo con la stessa impulsività con cui li aveva abbandonati.
Ma ormai sono trascorse troppe pagine, e si avverte ciò che avverrà: “con una sorta di raddensarsi senza sforzo d’una specie di dolce panico… lui sente il vento sulle orecchie ancor prima di mettersi a correre. Ah: corre. Corre.”
Smetterà di correre dieci anni dopo, quando sarà l’America delle contestazioni giovanili a rivoltarsi. Ma questa è un’altra storia.


(A. V.)