Vita di Eduardo di Maurizio Giammusso

Venticinque anni senza Eduardo: ma non sembra che la figura alta, allampanata, rugosa, comica, amara, severa, dolcissima si sia sbiadita. Non ha mai rischiato di finire nel dimenticatoio, destino affidato a molti che in vita sono definiti “grandi” e poi da morti svaniscono poco alla volta, e così anche le loro opere.

La grandezza di Eduardo, così tanto celebrata in vita, ha continuato ad ingigantirsi anche dopo il 31 ottobre del 1984, giorno della sua scomparsa.

Non c’è stato anno senza che venissero riproposte con grande successo Filumena Marturano, Napoli Milionaria o Natale in casa Cupiello, e tante tante altre. In Italia come in molti angoli del mondo. In America, in Russia, ed anche in Etiopia.

Opere – potenti, universali, senza tempo, senza mai logorarsi – rimaste in piedi anche dopo di lui, a dimostrazione che oltre ad essere un grande attore, un interprete attento e minuzioso, Eduardo è stato un grande drammaturgo del Novecento, che merita un giusto posto di fianco a Cechov, Pirandello, Beckett, Williams.

E Minimum Fax, come già in altre occasioni, riprende dalla polvere i libri buoni abbandonati, sempre troppo frettolosamente, da altri editori. È già capitato con Carver, Yates, Barthelme. E ora inserisce tra i grandi nomi di cinema e teatro che ha in catalogo (Welles, Kubrick, Mamet, Albertazzi) Eduardo De Filippo.

Rispunta così  “Vita di Eduardo” del giornalista e scrittore Maurizio Giammusso (Minimum Fax, pp. 510, Euro 20), irrobustita rispetto alla edizione del 1993 da una prefazione di Dario Fo che oltre ai ricordi evidenzia la vena surreale di alcuni lavori di Eduardo, degni di Molière.

Una biografia poderosa, dettagliata, soprattutto rigorosa e appassionata. E forse solo così poteva essere raccontata la vita del drammaturgo e attore tanto temuto per la sua proverbiale (ma anche leggendaria) durezza, precisione, esigenza. Infatti Giammusso non tralascia nulla della vita di Eduardo: il rapporto ambiguo e fondamentale col padre-maestro-padrone Eduardo Scarpetta; la voracità del giovanissimo Eduardo che spia i segreti del mestiere dalle quinte; il lavorio duro dello scrittore che lima e olia i meccanismi drammaturgici, le battute; i durissimi, e forse mai sanati del tutto, scontri con Peppino come la famosa scenata del Vomero; l’amore e l’odio per Napoli; il suo assorbire “avidamente, e con pietà, la vita di tanta gente”, chiave interpretativa per tutte le sue opere. E poi i momenti difficili durante la guerra, i lutti, l’amore per Thea e per Isabella, il padre affettuosissimo con Luca.

Tutto raccontato con accuratezza, discrezione, e in maniera appassionante.

Il racconto di un uomo geniale e burbero che con le battute delle sue opere è entrato nell’immaginario collettivo dell’Italia del Novecento: “Ha da passa’ ‘a nuttata”.