U2 – No Line on the Horizon

Con l’ultimo album uscito nel 2004, How to dismantle an atomic bomb, piuttosto che smantellare la bomba atomica del titolo, gli U2 erano andati molto vicini a smantellare il loro mito, costruito in 25 anni di carriera. 

Una carriera capace di attraversare indenne il decennio in cui il rock’n’roll era stato dato per morto, gli anni ’80, diventandone anzi l’ultimo baluardo, gli alfieri di una tradizione che sembrava giunta al suo capolinea. 

Una carriera, quella degli U2, capace di resistere alla rivoluzione grunge (e che in realtà era restaurazione), grazie ad un album dissacrante come Achtung Baby, capace, con i suoi 55 minuti di durata, di rinnegare quanto fino a quel momento avevano detto. 

Poi qualcosa è andato per il verso sbagliato e si è giunti al nuovo millennio con un lavoro, All that you can’t leave behind, che iniziava a mostrare le crepe di una formula con evidenti segnali di stanchezza e mancanza di ispirazione, fino a giungere, col lavoro del 2004, ad una fase di totale stasi creativa prossima alla mediocrità più imbarazzante.

È per questo motivo che in molti, alla vigilia di No line on the Horizon, erano pronti a decretarne la fine. Una fine che sembrava avere nel singolo di lancio, Get on your Boots il più triste dei commiati. Ma basta inserire il cd nello stereo e lasciar scorrere i primi secondi della title-track per avere una pronta smentita. Messi da parte gli istinti semi-garage delle ultime produzioni, gli U2, guidati dalla produzione della sempreverde coppia Eno/Lanois, virano verso territori più prossimi a quelli calcati in The Unforgettable Fire, con una formula che riesce a coniugare intimità ambient e respiro epico. 

Ne è perfetta sintesi il brano che sembra essere la colonna portante dell’intero lavoro, Fez-Being Born, quanto di più lontano gli U2 abbiano composto dallo schema tradizionale della forma canzone, con un testo che è pura “impressione” e la voce di Bono che si piega alle sole esigenze di espressione, prima ancora che melodiche. 

(G. d. B.)