Ricorre oggi l’anniversario della morte di Leonardo Sciascia

Scomparso il 20 novembre del 1989, la produzione letteraria dello scrittore agrigentino è attraversata da una consapevolezza della sconfitta della ragione, della moralità, del buon senso illuministico, prendendo spunto ora da storie della sua Sicilia, ora da problematiche nazionali.

In rottura con gli intellettuali del dopoguerra, il suo impegno politico non fu legato, in particolare, a nessun partito ma si espresse sempre attraverso un dissenso individuale. La forza della sua attualità sta nella lucidità del suo pessimismo, nella denuncia, condotta con grande lungimiranza, della corruzione e dei complotti del potere.

E il pensiero corre a due dei suoi romanzi più famosi: “Il giorno della civetta” e  “A ciascuno il suo”.

Primo “giallo” di Sciascia, “Il giorno della civetta”, edito nel ‘61, ha  tra gli altri il pregio di costituire la prima opera narrativa sulla questione mafia destinata a un vasto pubblico. Al centro, il tema dell’omertà e della impossibilità di cambiare la situazione: vi è nei siciliani – sembra amaramente concludere lo scrittore – una sfiducia radicata nei confronti della giustizia. Si tratta di un senso di estraneità verso la legalità e lo Stato che conosce cause storiche e che si ricollega a dominazioni straniere che, avvicendandosi, hanno scavato un solco fra oppressi e oppressori.

Pubblicato nel 1966, “A ciascuno il suo” costituisce invece un giallo enigmatico e atipico, che rappresenta le labirintiche connessioni non solo della situazione  siciliana, ma della condizione umana in generale. La realtà ci viene restituita nella sua autentica, ambigua e magmatica consistenza.
Protagonista è ancora una volta la mafia che ha ormai inquinato l’intero sistema di potere. Ad esserne intrise, infatti, non sono soltanto la politica e l’economia siciliane, ma la stessa amministrazione centrale, i partiti politici e la burocrazia romana.
 


(F. A.)