Oasis – Dig out your soul L’ennesimo ritorno senza sorprese

È un 2008 all’insegna dei grandi ritorni: Verve, Metallica, The Cure e Oasis. La band dei fratelli Gallagher cerca di rimettersi in pista con un nuovo album, Dig out your soul, a distanza di tre anni dal mediocre Don’t believe the truth, ennesimo capitolo di un libro da troppo tempo fermo alla stessa pagina.
Della cosa dovevano ormai essersene accorti anche i Gallagher, se è vero che in questo nuovo lavoro si percepisce la volontà di dare un nuovo ordine alle carte della mano.
Rinnovamento che per gli Oasis è lontano dal rappresentare una profonda sperimentazione, quanto un semplice cambiamento dei modelli culturali di riferimento: dall’asse Beatles/Rolling Stones, in questo settimo lavoro, si vira verso la più complessa tradizione inglese che negli anni ’70 subì le influenze blues di ritorno dall’America.
Così, in brani come l’iniziale Bag it up, Waiting for the rapture e soprattutto (Get off your) High Horse Lady, si avvertono chiari echi di Yardbirds e Cream, che rendono le canzoni più accattivanti, con arrangiamenti pop-psichedelici.

Eppure, nonostante le buone intenzioni, Dig out your soul, manca proprio dell’unico elemento di cui la band, anche nei suoi album più mediocri, non ha mai fatto mancare: melodie semplici quanto belle. E in quest’ultimo ci sono canzoni che si fa fatica a ricordare.

Una carenza cercata di nascondere sotto arrangiamenti davvero riusciti, ma che difficilmente possono riuscire a salvare il lavoro. Le note positive sono il riuscito singolo The shock of the lighting, che aveva illuso un ritorno all’altezza dei primi due grandi lavori della band; Falling Down, il brano migliore del disco, che vede alla voce Noel e infine la ballata di stampo beatlesiano scritta da Liam, I’m outta time, l’unico pezzo in cui la melodia riesce a districarsi dal pantano di un’ispirazione sempre più a secco per una delle band simbolo degli anni novanta.

(G. d. B.)