Lunga gloria ai “Bastardi” di Tarantino

Qual è il confine tra imitazione ed ispirazione? Quando si può parlare di remake o di cinefila accozzaglia di citazioni? Le risposte sono evidenti nell’ultimo immaginifico capolavoro di Quentin Tarantino: Inglourious Basterds. Un film chiacchierato, osannato, controverso, geniale che non può lasciare lo spettatore indifferente. I generi mélo, noir, western, satirico si intrecciano al limite del possibile, generando la forza propulsiva che permette alla vicenda di svilupparsi con esiti sempre avvincenti, e che rende questo film immancabilmente tarantiniano.

Fulcro della vicenda il tema, già caro al regista, della vendetta. Una doppia vendetta, fatta di scalpi e pellicole da 35mm brucianti , che in questo caso non va servita fredda ma anzi caldissima. Impossibile non simpatizzare per gli indomiti bastardi del tenente Aldo Raine o per la temeraria ebrea Shosanna il cui comune odio per i nazisti s’incontrerà e sovrapporrà all’interno di un cinema, che, trasformato in un immenso forno crematorio, polverizzerà i grandi del Terzo Reich, Hitler compreso. Desiderio di vendetta, sogno nella realtà storica, che Tarantino può realizzare grazie al potere creativo del cinema.

La colonna sonora assolutamente d’effetto e l’infallibile cast non oscurano il vero protagonista di questa pellicola: il dialogo, che è gioco di parole, incomprensione, tradimento, simulazione.

Il titolo è, non a caso, sgrammaticato dall’originale film italiano omonimo di Enzo Castellari, al quale dice di essersi ispirato.

E se è vero che i grandi artisti non copiano ma rubano, allora Tarantino è un ladro professionista.

(R. M.)