Le mille luci di un formidabile scrittore

Accade in letteratura che le opere prime siano quelle che rimangono nel cuore dei lettori e che proclamino da subito uno scrittore come “rappresentante di una generazione”. È accaduto anche a Jay McInerey, con il suo romanzo “Le mille luci di New York”, pubblicato nel 1984 e simbolo del post minimalismo americano.
L’autore, definito da Fernanda Pivano come lo stilista della letteratura americana contemporanea, racconta una storia lineare, semplice, ma in un modo del tutto originale, ed è questa la chiave del grande successo.

Il protagonista è un uomo, distrutto dal fallimento di tutti i suoi obiettivi: la scelta di vivere a New York, diventare un grande giornalista, essere sposato a una donna giovane e bella. Una sequela di sogni non realizzati che si scontrano con la dura realtà. Quest’uomo, dopo essere stato lasciato dalla moglie, una ragazza di provincia divenuta modella, ha solo il suo lavoro di impiegato in una rivista chic di New York al “Reparto Verifica dei Fatti”.

La scialba quotidianità si scontra con il mondo fantasmagorico dei locali alla moda e dei personaggi che frequenta durante la sua vita notturna.
Queste distrazioni non distolgono l’attenzione dalle sue debolezze e dai suoi sensi di colpa che troveranno poi una ragione in traumi familiari mai realmente affrontati.
Il tratto più accattivante è senza dubbio quello stilistico, motivato dalla scelta di raccontare la vicenda usando la seconda persona: un artificio che sconvolge e insieme avvolge il lettore.

L’ammissione delle proprie colpe è la parte più drammatica e malinconica, in contrasto con una New York degli anni Ottanta, dominata dalla ricerca del piacere a tutti i costi, anche sacrificando i valori tradizionali.
L’autore riesce a svelare, in modo ironico e brillante, l’altra faccia dell’America, tanto lontana dalla perfezione che maschera tutti i dubbi e le insicurezze di un’intera generazione.

(F. A.)