La Napoli trasfigurata di Rea

Partiamo dalla fine: l’amicizia finisce, la città che tanto ami ti costringe a fuggire, di nuovo, e quella lettera di dimissioni è finalmente scritta.
Probabile vincitore del prossimo Premio Strega, Napoli ferrovia di Ermanno Rea, edito da Rizzoli, è un diario-cronaca “in odor di romanzo”, l’amaro suggello della biografia personale di chi fino all’ultimo ha tentato di riconciliarsi con una città che non si è ancora risvegliata dal suo dopoguerra.
Lo scrittore mette in gioco sé stesso, vecchia cariatide comunista, e la sua posizione di prestigio, quella di presidente della fondazione Premio Napoli, ritornando nei luoghi da cui era fuggito cinquant’anni prima.
Lo fa addentrandosi nei vicoli di quel quadrilatero di piazze e vicoli che si chiude intorno alla ferrovia, crocevia di nuovi “sangui” e vecchie pulsioni. Sarà Caracas, un’ex naziskin di origine venezuelana con il quale stringerà una paradossale ma sincera amicizia, a condurlo per mano nei vicoli più bui della città e della propria memoria. A questo viaggio si affiancheranno altre figure, ombre del passato prestatesi a declinare un futuro senza speranze.
Il ricordo personale si deforma in uno stile che ibrida realtà e finzione letteraria, dal quale prendono vita con forza, e con l’eco struggente di quella malinconia civile curabile solo con la Storia, le domande sul perché di una disfatta alla quale non si riesce a dar risposta. L’unica consolazione, oggi come allora, è in quell’addio di chi ama troppo la sua città da non sopportarne il fantasma.

(A. V.)