Il “Volo” nel tempo che non c’è più

Lorenzo, trentasette anni: un passato che pesa, una lei che non c’è più e una vita indipendente. Indipendente come la sua capacità di adattamento, che gli ha fatto perdere ogni stimolo verso i sentimenti, anche quelli più naturali e spontanei. Questo e nient’altro per il nuovo romanzo di Fabio Volo, Il tempo che vorrei (Mondadori, 294 pp., € 18,00), già primo in classifica a poco più di due mesi dall’uscita.
La vita del protagonista non è altro che uno sfondo dai toni sfumati e familiari che racchiude la storia di tutti e nessuno: storia di provincia, di riscatto ma anche di privazioni e fallimenti che si ripercuotono tutti non solo nella vicenda ma anche nel dramma personale del protagonista che giunge ad una crisi di mezza età con la netta consapevolezza di essere inadeguato all’amore. Colpa di un padre incapace di esprimere i propri sentimenti al figlio, ma anche di una società automatizzata la cui logica si dipana troppo spesso in contraddizioni insuperabili e classificazioni fittizie.
Semplice e diretto, il romanzo arriva a chi ancora non ha preso coscienza delle proprie orme, a chi a stento riesce ad afferrare il significato delle grandi come delle piccole cose, a chi si rende conto che indietro non si può  mai tornare. E se sbagliare significa imparare allora è meglio accettare la lezione e prendere atto della vita come di una scuola senza fine, dove chi impara a sentire, a sentire prima di tutto se stesso, è già a metà strada dal guadagnarsi un bel voto.

(R. S. B.)