Dolori e paure dopo la morte nel nuovo romanzo di Viola Di Grado

Solo due anni fa la giovanissima Viola Di Grado esordiva con il suo primo romanzo, Settanta acrilico trenta lana. Dopo aver vinto il Premio Campiello Opera prima, il nome della studentessa torinese di lingue orientali è tornato popolare tra gli scaffali principali delle librerie d’Italia con il suo secondo romanzo dal titolo Cuore cavo.

L’entusiasmo della critica, che ha quasi unanimemente sfoggiato aggettivi lusinghieri per la giovane narratrice, sembra ripetersi anche questa volta.

È la morte il tema che attraversa le pagine di Cuore cavo, il percorso tracciato da un’anima che ha appena esperito il suicidio. La protagonista Dorotea si dà la morte all’inizio del romanzo, ma continua ad inoltrarsi nella materialità; la sua anima corre, sente, vede e descrive, narrando in maniera pungente e plastica il disfacimento del corpo e assieme ad esso ripercorre i dolori, le paure, le tragedie di una vita vissuta che Dorotea non stima più degna di avere questo nome.

Sbrigativamente etichettata come autrice dark e a metà strada – come notano alcuni – tra i colori di Amélie Nothomb e la letterarietà di Elena Ferrante, Viola Di Grado dimostra una maestria compositiva inconsueta per la sua giovane età. Una prosa fatta di continui accorgimenti retorici (iperboli, allitterazioni, sinestesie vertiginose) che pure non scalfisconono l’immediatezza espressiva della sua lingua, originale ma al contempo decisa, che si staglia con fermezza nell’immaginario del lettore.

Cam. Sorc.