Herzog. Un cuore messo a nudo

Si dice che i romanzi che hanno per titolo il nome del loro protagonista siano dei capolavori. Questo è certamente vero per Herzog, l’opera più conosciuta del premio Nobel americano Saul Bellow. Con una sola differenza: quello che vale per tutti gli antieroi della letteratura non attecchisce nella personalità dell’intellettuale Herzog. Scritto negli anni ‘60 dell’intellettualismo post-kennedyano, è un romanzo a metà tra il récit e una spudorata confessione attraverso le lettere che  scrive Herzog (alter ego di Bellow). Una prosa che regala personaggi memorabili, figure femminili evocate con poche, fulgide parole. 
Nelle contraddizioni e gli impulsi del protagonista, a tutta prima detestabili, vi è una forte carica morale. Herzog frappone, tra sé e il mondo, decine di lettere scritte dal flusso quasi inconsapevole della sua intellettualità. Lettere assurde, visionarie, dolci o malinconiche; destinate ai grandi filosofi della Storia così come al suo psicanalista. O all’amante della moglie, dalla quale si separa con dolore.
Ma la realtà che tanto gli duole affrontare, oltre che quella di una nuova relazione, è anche quella di un rapporto tormentato con i figli e la propria memoria di ebreo trapiantato in America. In mezzo, l’unico principio vitale che gli interessi: la stesura di un saggio che affronti in maniera definitiva altro che non la vita, ripercorrendo secoli di filosofia. Appare presto chiara un’inestricabile contraddizione: nonostante il ripudio del materialismo egli crede nell’uomo. Da questo fallimento la sua rinascita: “la luce della verità non è mai lontana e nessun essere umano è troppo trascurabile o corrotto per giungere ad essa”.

(A. V.)