Genesis – I know what I like (in your wardrobe)

In molte enciclopedie musicali e articoli letti qua e là, il progressive rock è sempre stato catalogato come il luogo di incontro fra la musica classica ed il rock. Questo è vero solo in parte, e sicuramente meno di quanto si dica. Certo, moltissimi musicisti che hanno militato in band progressive vengono da una formazione “da conservatorio”, e in tante canzoni sono riutilizzati temi provenienti da lavori di compositori classici; nel progressive, poi, nasce la suite rock, si comincia a parlare di movimenti andanti e moderati, si lascia spazio al virtuosismo degli strumentisti. Ma questo è solo il lato tecnico del progressive, che lascia poco spazio a quello culturale e più strettamente artistico di un genere che non è solo un pastiche, ma il suono di una generazione. La generazione di cui parliamo è quella del sessantotto, delle rivolte studentesche, di Woodstock, e proprio verso la fine degli anni sessanta l’acid rock dell’UFO Club, quello di Hendrix e dei primi Pink Floyd, fa un passo avanti e si dilata, e canta il trip di quella generazione, con sguardi alla mitologia, alle leggende inglesi, ad una medievalità da menestrelli incarnata alla perfezione da gente come Ian Anderson dei Jethro Tull e Peter Gabriel dei Genesis. In quel periodo accanto ai Beatles e ai cantautori americani si facevano spazio, nelle collezioni di vinili di una certa gioventù, dischi come Atom Heart Mother dei Pink Floyd, In the court of the Crimson King dei King Crimson, Third dei Soft Machine, Aqualung dei Jethro Tull, Fragile degli YES, Tarkus di Emerson, Lake & Palmer, e lavori provenienti dall’Italia, che allora, come forse mai più nella storia del rock, divenne centro e fucina di talenti: Storia di un minuto della PFM, Contaminazione de Il Rovescio della Medaglia, e gli omonimi del Banco del Mutuo Soccorso e dei Biglietto per l’Inferno. Fra questi dischi, un posto speciale trova la prima discografia dei Genesis, con gli album che vanno da Trespass a A Trick of the Tail. Giovani ragazzi appassionati di musica, questo erano i Genesis: capeggiati da un istrione di razza come Peter Gabriel, in quel periodo sfornarono dei masterpiece del progressive, e fra Foxtrot e The Lamb lies down on Broadway si pone uno di quelli che meglio incarna quello spirito, quegli anni: Selling England by the pound. Il disco è una delle antonomasie del progressive: c’è la componente leggendaria, la denuncia sociale, la suite dilatata. Ma, a differenza di altri LP di quegli anni, c’era una cosa che raramente si trovava in un disco prof: un singolo. Il singolo in questione è I know what I like (in your wardrobe), che del singolo ha la durata e la struttura, ma dentro ha anche tutto il progressive: c’è la carica ipnotica del sitar di Mike Rutherford, ci sono i sintetizzatori di Tony Banks, un’introduzione ad una storia che solo Peter Gabriel poteva recitare così. Una storia uscita fuori da un quadro, quello che faceva da copertina al disco, dipinto da Betty Swanwick e intitolato The Dream: e la storia narra di un giovane e del suo lavoro da giardiniere (rievocato da intro ed outro del pezzo, in cui suoni di synth mimano un tosaerba) e che è sinceramente soddisfatto di quello che ha. Posta come seconda traccia, I know what I like è uno strategico innalzamento d’umore dopo la sontuosa opening Dancin with the Moonlit Knight. E fu anche la prima canzone dei Genesis ad entrare in classifica come singolo: nell’aprile del 1974 raggiunse la ventunesima posizione della chart inglese. Il successivo singolo da classifica fu Follow You Follow Me, quattro anni dopo: ma Peter Gabriel e Steve Hackett avevano lasciato il gruppo in mano a Phil Collins, e l’era d’oro del progressive stava terminando. Era giusto qualche anno prima di Invisible Touch, prima di tutti altri Genesis, prima di tutta un’altra storia.

Ant. Cr.