Anonymus… Ma non tanto

Dalle accuse di voyagerismo a quelle di blasfemia, di certo il film di Emmerich entra in quel filone dell’antinformazione e dell’antiaccademicità volta a stravolgere le basi della cultura.

Di fatto: un Codice da Vinci teatrale. Perchè se il libro di Dan Brown con conseguente film di Ron Howard si muoveva in ambito pseudo-storico-religioso, con lo stesso meccanismo di rivelazioni su rivelazioni, qui si cerca di attrarre il pubblico stravolgendo la visione classica di personaggi storicamente esistiti.

La vergine Regina Elisabetta diventa una amante incestuosa, il modesto conte di Oxford è il più grande poeta e drammaturgo di tutti i tempi e Will Shake-speare (forma che amano gli anti-stradfordiani) è solo un attorucolo di scarsa bravura e semi-analfabeta che a malapena sa leggere un copione.

E come Dan Brown, lo sceneggiatore John Orloff prende una serie infinita di voci di palazzo, dicerie, leggende metropolitane e teorie più o meno fondate, mischia il tutto con i collaudati meccanismi shakespeariani di colpi di scena, passioni e omicidi, presentando così un prodotto(perchè di quello si tratta), fruibile al pubblico, appassionante per chi Shakespeare lo ha sentito nominare e che fa rizzare i capelli agli addetti ai lavori.

Il film è ben scritto, ottimamente girato, il cast è di tutto rispetto e la Londra descritta e rappresentata, anche con una buona dose di computer grafica, proietta lo spettatore direttamente nell’epoca elisabettiana; ma è inevitabile che ciò che emerga non sia la ottima fattura artistica, ma la storia raccontata, vera o fasulla che sia.

E allora fermiamoci un secondo e cerchiamo di capire una cosa: questa è Hollywood, il cinema, qui si deve colpire e impressionare, intrattenere ed emozionare, non si deve raccontare una storia vera nè si pretende, o si deve pretendere, di stravolgere l’immagine di un artista consolidata da 400 anni di rappresentazioni teatrali e di studi critici e artistici; chi ama il teatro, la poesia, l’arte, sa che quando un’opera diviene immortale non importa più chi ne sia l’autore, perchè ormai appartiene all’umanità intera.

Guardimolo per quello che è, ovvero un’ora e mezza che prende lo spettatore, che non annoia, che sfrutta al meglio quei meccanismi teatrali di cui sopra, che riflette e fa riflettere su un tema che alla fine resta lì: la storia umana si basa su favole e leggende, ancora c’è chi crede che Nerone abbia cantato vedendo Roma bruciare e chi crede di vedere Men in Black in giro per New York City.

Sicuramente non ha la pretesa di essere una pietra miliare del cinema, ma per la qualità espressa è sicuramente una pellicola che vale il prezzo del biglietto.

S. D. V.