Chi ha visitato Pompei o Ercolano sa che queste due città romane furono distrutte e sepolte dai prodotti dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Questi depositi vulcanici sono stati studiati per oltre due secoli, durante i quali sono stati proposti diversi modelli stratigrafici e genetici. Due nuovi studi, pubblicati nell’ultimo numero del Journal of the Geological Society, aggiornano la stratigrafia, la distribuzione e la cronologia di questa eruzione iconica.
Il professor Claudio Scarpati, vulcanologo del DiSTAR – Dipartimento federiciano di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse, e collaboratori ridefiniscono la dinamica della fase Pliniana dell’eruzione, che durò circa 17 ore, durante le quali furono eruttati 6,4 km³ di materiale vulcanico da una colonna che oscillava tra i 14 e i 34 km di altezza. La fase iniziò intorno a mezzogiorno del 24 ottobre (o agosto) con la deposizione di uno strato sottile di cenere. Verso l’una, la colonna eruttiva salì rapidamente fino a 19 km, iniziando a depositare pomici bianche. Dopo diverse oscillazioni, raggiunse i 23 km alle 19.06. Poco dopo le 20, iniziarono a essere eruttate pomici grigie e, tra continui alti e bassi, la colonna raggiunse la massima altezza di 34 km tra mezzanotte e l’una. Alle 6.07 del 25 ottobre (o agosto), terminò la fase di colonna sostenuta.
Durante queste ore, su Pompei si accumulò uno strato di pomici di circa tre metri, che seppellì la città, causando il crollo di numerosi tetti sovraccarichi e la morte di centinaia di Pompeiani rifugiatisi nelle case. Già dalla sera del 24, intorno alle 19 e fino alle 6 del mattino successivo, dalla colonna si staccarono porzioni di gas e cenere, che formarono nove correnti piroclastiche dirette in varie direzioni: alcune devastarono Ercolano, mentre altre si espansero nella campagna circostante fino a 10 km dal vulcano.
La seconda fase dell’eruzione, che durò 14 ore, produsse sei correnti piroclastiche capaci di raggiungere fino a 25 km dal vulcano e risalire fino a 800 metri sulle montagne lungo il percorso. La tredicesima corrente, la più devastante, durò ben nove ore e distrusse ciò che rimaneva degli edifici di Pompei e Stabia, uccidendo i sopravvissuti che erano scampati alla prima fase.
Queste nuove interpretazioni sono rilevanti non solo per la vulcanologia, ma anche per la storia e l’archeologia, oltre che per tutte le discipline impegnate a comprendere gli eventi culminati nell’eruzione del 79 d.C..