Una voce dalle stelle. Vita e mutazioni continue di David Bowie
Negli anni settanta una frase rimbalzava tra fan assetati di rock in attesa di un nuovo elettrizzante shock sonoro, giornalisti di riviste specializzate e cronisti di session interminabili in studi di registrazione ma anche di faticose tournée in giro per il mondo; una frase che nel tempo ha definito al meglio la direzione musicale e artistica di David Bowie, sempre spiazzante: “C’è la musica contemporanea, quella del passato, e poi c’è David Bowie”. Era un passo avanti rispetto al suo tempo e alle mode, dettava legge, indicava la rotta, disorientava in modo superbo fan adoranti e ogni tipo di attesa. Prima che uscisse un suo nuovo album, tutti a chiedersi quale diavoleria si sarebbe inventato, cosa sarebbe spuntato dal suo cilindro magico.
Il tempo di portare sulla vetta Ziggy Stardust che David Bowie già cancellava tracce del proprio passato con un nuovo album, totalmente diverso, e di passo riappariva anche con una nuova maschera, un nuovo personaggio. Così cadeva sulla terra un altro marziano, da frontiere spaziali non ancora perlustrate o dai reconditi più nascosti della società. Come Halloween Jack o il celeberrimo duca bianco o il clown stellare di “Scary Monsters”, il detective Nathan Adler, così fino alla fine della sua carriera, fino alla scomparsa nel gennaio del 2016, lasciando in eredità, sulla terra, il Reverendo Nero e il Lazzaro di “Blackstar”.
E se il futuro non avrà, purtroppo, un’altra sorpresa da David Bowie, fatta eccezione di eventuali album inediti, nel caso lui stesso abbia deciso di lasciare ai posteri degli album già conclusi – e non un raccogliticcio assemblaggio di demo o canzoni scartate – ora si può ripercorrere la sua lunga carriera ascoltandone la voce, le parole di dichiarazioni folli, esuberanti, sconvolgenti, indicative di scelte estetiche e musicali ben precise e meditate. Il Saggiatore ha raccolto in “Sono l’uomo delle stelle” le più belle interviste apparse su riviste di mezzo mondo. Un viaggio interstellare dove affiorano e si possono ripercorrere le varie fasi artistiche e dell’anima di genio che mentre parla già guarda al futuro, è interamente proiettato verso progetti e nuovi spazi sonori, ma racconta anche di sé e delle sue debolezze, mette in mostra un lato umano inedito.
Comunque è un Bowie sempre sicuro di sé e delle proprie intenzioni, come racconta a Gordon Coxhill di “New Musical Express” nel novembre del 1969, quando il mondo è andato sulla luna seguendo Neil Armstrong, e anche grazie alla sua canzone, “Space Oddity”.
«Voglio cantare fintanto che ci sia qualcuno che voglia ascoltarmi, non mi interessa dove. Tuttavia non sono disposto a tagliarmi i capelli o a cambiare il mio aspetto solo per accontentare gli altri. Sono piuttosto contento della mia immagine, e la gente deve accettarmi per come sono, oppure evitare di rompere», dichiarava quando era in pieno periodo fricchettone, ma già a un passo dal cambiare radicalmente l’estetica di sé e della musica, prima di apparire capelli arancioni, corti, e in tuta di lamé a capo degli Spiders from Mars.
Infatti, neppure tre anni dopo, nel gennaio del 1972, nella celebre intervista di Michael Watts di Melody Maker, con malizia studiata disse «sono gay e lo sono sempre stato, anche quando ero David Jones». Mossa abile di marketing – lo accusarono negli anni successivi – ma in realtà fu sfondata una porta del perbenismo. Rock come spettacolo teatrale e teatralizzazione di se stessi. Fu come un grido di liberazione per molti, come la sua musica. Poi, dopo la “morte” di Ziggy Stardust e l’arrivo di Aladdin Sane: nuova metamorfosi dettata sempre dalla necessità di guardare oltre, spiegando a Charles Shaar del New Musical Express che «penso che David Bowie non sia poi così importante. Penso che le immagini e le atmosfere evocate dalla mia musica siano più importanti di me. Ho sempre avuto la sensazione di essere un veicolo di qualcos’altro».
Un libro ricco di aneddoti e retroscena, tra tutti l’incontro del 1974 ai Sigma Sound Studios di Philadelphia tra Bowie e Bruce Springsteen, che è arrivato da New York in corriera e alla stazione si è intrattenuto a parlare con alcuni barboni. Un incontro surreale e dettagliato che emerge dal racconto di Mike McGrath di The Drummer. Bowie è un folletto scheletrico, devastato dalla droga; discutono della paura dei fan che salgono sul palco e di cosa sarebbero capaci di fare, parla di improbabili ufo e resti di astronave caduti in Ohio che il governo tiene nascosti. Springsteen è assente, Bowie su un altro pianeta.
Poi, anno dopo anno, mutazione dopo mutazione, confida della fine dei suoi problemi con la droga, racconta del periodo a Berlino e del rapporto con Iggy Pop, delle registrazioni per la trilogia “Low”, “Heroes”, “Lodger”, parla dei nuovi processi creativi ispirati dalla collaborazione con Brian Eno. «Grazie a lui ho iniziato a concepire la musica in un modo completamente nuovo […] Ora i testi li frammento di più di quanto facessi in passato».
C’è poi il Bowie attore, colto nel 1980, da New Musical Express, durante la tournèe teatrale di “Elephant Man”, discute del rapporto con il testo, come affronta il palcoscenico in un’atmosfera molto diversa da quella degli stadi, e di film che vorrebbe dimenticare come “Just a Gigolò”, stroncato da tutti, per poi ritornare all’esperienza nel deserto del Nevada quando fu diretto da Nicholas Roeg che lo tramutò in “L’uomo che cadde sulla terra”.
Quella del 13 settembre 1980 a Angus MacKinnon è tra le più lunghe e appassionanti del volume, ha un titolo rivelatorio, “il futuro non è più quello di una volta”. Bowie rivela incertezze sulle infatuazioni dettate da mode provvisorie, le proprie paure, come ha lavorato a “Scary Monsters”. Per poi offrire una certezza che oggi sembra una profezia. «Nessuno si reincarnerà in David Bowie, ne sono abbastanza sicuro».
P. L. R.
David Bowie
Sono l’uomo delle stelle
ISBN 9788842822585
Pagine 469
€ 24.00