Parlare, o scrivere, di un libro di Italo Calvino è cosa complicata. Ma se un lettore ha un privilegio, è quello di poter chiudere l’ultima pagina e decidere cosa pensa del libro che ha appena letto. E dopo aver letto Gli amori difficili (Mondadori), si può solo pensare: “straordinario”.
Il fatto che si tratti di un’antologia di racconti nulla toglie alla continuità della lettura: tutte le storie sono piccoli idilli contemporanei, piccoli quadri di descrizioni e dettagli, che ruotano intorno a protagonisti assolutamente anonimi, la quintessenza dell’ordinarietà. Enrico Gnei, impiegato, Antonino Paraggi, pseudo-fotografo, Federico V., viaggiatore, Amedeo Oliva, lettore, e altri come loro. Tutti si ritrovano a cominciare, in maniera assolutamente casuale, dopo un incontro inatteso, un amore “difficile”.
Per difficile Calvino non intende nulla di melodrammaticamente settecentesco o da romanzo dell’800, ma solo storie che hanno un inizio e di cui il lettore non conoscerà mai l’esito, o semplicemente la continuazione, perché finiranno prima. In questo sta il trucco, in questo il fascino: ognuna di queste storia è bella perché è sospesa. E ognuno si immagini il seguito che vuole, pare aver pensato Calvino.
Con parole leggere e veloci, pronte a creare quell’atmosfera surreale e un po’ escheriana in perfetto stile calviniano, il lettore si ritrova sul treno con Federico, su uno scoglio con Amedeo, al bar con Stefania, a scattare fotografie con Antonino. Entra per il tempo di qualche pagina nelle loro vite, poi ne esce divertito e contento. E grato a chi le ha fatte vivere sulla carta.
Chi. Mel.