“Easy Rider”. Quel lungo viaggio verso la libertà
Abbandonarsi completamente ai propri istinti e, più propriamente, agli istinti hippie del viaggio psichedelico. Alienato sì, ma non dalla realtà, che in questo caso si pone come ragnatela stringente che impedisce all’uomo di estendere la propria anima oltre i propri limiti.
Tutto questo è “Easy Rider”, uno dei film cult della cultura Hippie anni ’60, uscito nel 1969, nello stesso periodo in cui a Bethel (New York) si svolgeva il Festival di Woodstock.
Il collegamento riflette a pieno lo spirito del film, intriso degli ideali di libertà e alienazione che caratterizzano la vita dei protagonisti Billy e Wyatt i quali, imbottiti di droga, attraversano il sud dell’America in cerca di fortuna. Ricercati dalle autorità per aver sfilato insieme a una banda senza permesso, vengono aiutati da un avvocato che decide di unirsi al loro road trip verso il Carnevale di New Orleans.
Il regista Dennis Hopper (protagonista del film insieme a Peter Fonda e Jack Nicholson) restiuisce però anche un volto amaro del film, denunciando senza mezzi termini la paura da parte della provincia borghese verso ogni tipo di diversità esistente, partendo dal vestiario ai capelli lunghi. Una paura della diversità culturale da parte di chi si pone contro il movimento hippie che sfocia, spesso, in azioni violente e senza senso.
La nemesi di tutto ciò diviene allora l’alienazione dalla realtà attraverso le droghe psichedeliche, che restituiscono all’uomo nuovi modi di stare al mondo e di concepire il sesso, l’amore e l’individuo.
Cri. Pel.