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Rino Gaetano: intramontabile cantore italiano

“Vedo già la mia salma portata a spalle da gente che bestemmia che ce l’ha con me”. È un verso tratto da “La ballata di Renzo”, uno dei primi testi scritti da Rino Gaetano, che è anche qualcosa di più: suona infatti come una strana profezia. Le cose, a distanza di anni, andarono proprio come in quella canzone.

Il 2 giugno del 1981 Rino, originario di Crotone, fece un incidente stradale sulla via Nomentana. Sia pur prontamente soccorso, trovò la morte sull’ambulanza, rifiutato da ben cinque ospedali. Se ne andò via così, quel giorno, uno dei più grandi cantautori italiani.

I suoi testi parlano di emarginati, di sfruttati e della gente comune. “Chi vive in baracca/ chi suda il salario/ chi ama l’amore e i sogni di gloria/ chi ruba pensioni/ chi ha scarsa memoria/ chi chiede il lavoro”, recita l’incipit di uno dei suoi più celebri pezzi “Il Cielo è sempre più blu”.

Cieli blu, notti stellate, spiagge di silicio, ministri scalda-poltrone, donne che fiutano tartufi, pescatori che ritirano i remi in barca, contadini che non possono permettersi il vino che fanno, santi vestiti d’amianto, palazzinari corrotti, indovini e falsi dei sono i personaggi che popolano le sue canzoni che somigliano a fiabe, trasportate però nella difficile realtà italiana.

Una discografia impegnata, quella di Gaetano, nella quale non mancano però struggenti ballate d’amore, come “Sfiorivano le viole”, “Tu, forse non essenzialmente tu”, “Cogli la mia rosa d’amore”, e canzoni di nostalgia per il suo Sud, come “Anche questo è Sud” e “Ad esempio a me piace il Sud”.

Allegro, irriverente e scanzonato, nel 1978 Gaetano si presentò sul palco di Sanremo in frac, maglietta a righe bianche e rosse, papillon, bombetta e scarpe da ginnastica  cantando “Gianna”. Fu un successo e arrivò terzo.

Musicalmente poliedrico, i suoi brani spaziano dal rock al reggae al rhythm’n’blues, fino a ritmi spagnoleggianti.

Nessuno ha narrato come lui l’Italia degli anni Settanta, il paese della strategia della tensione, delle P38 e della loggia P2. La sua denuncia sociale era sempre celata dietro una graffiante e mai volgare ironia e si serviva di un apparente ed efficacissimo non sense, come in “Mio fratello è figlio unico”.

Manca molto al nostro panorama musicale. Chissà come avrebbe cantato l’Italia del 2007. Ascoltando le sue canzoni, possiamo intuirlo.
  
(F. C.)


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