“Memento”. Una filosofia sul ricordo e la dimenticanza

Chiunque sia abituato a pensare che un film possa essere costruito solo su linee temporali definite e consequenziali, un inizio, una parte centrale e un finale, non ha ancora visto “Memento”.

Diretto da un Cristopher Nolan agli esordi (2000) e tratto da un racconto di Jonathan Nolan, fratello del regista, in questa pellicola che a tratti sembra anticipare temi vicini al più maturo “Inception”, si assiste ad una frantumazione sconnessa del tempo frutto dell’amnesia anterograda da cui è affetto il protagonista.

Leonard Shelby è un ex agente assicurativo che a seguito di un aggressione subita in casa da due malviventi perde la memoria a breve termine e l’unico ricordo che gli resta di quell’evento è il corpo della moglie riverso sul pavimento.

Come un nastro difettoso la trama dell’intero film si svolge e si riavvolge a step, a blocchi innaturali e stranianti che fondono presente e futuro. Nella ricerca spasmodica di una verità che lambisce confusamente i confini sottili tra soggettivo e oggettivo, Shelby tatua su di sé scritte, numeri, codici utili a ricostruire fatti ed eventi ormai perduti nel limbo oscuro della sua mente.

Tradotto in italiano, memento significa ricordati.

“Ricordati di non dimenticare”.

Cla. Tra.