“Legends”. Tom Brady, Lord of the Rings

Chad Pennington, Giovanni Carmazzi, Chris Redman, Tee Martin, Marc Bulger e Spergon Wynn.

Una serie di nomi che suonano sconosciuti anche ai più esperti fan di football americano. Sei quarterback, tutti selezionati al Draft della NFL prima di Tom Brady, ormai considerato quasi da tutti the GOAT, the greatest of all time, il più grande di tutti

i tempi. Alcuni di quelli che lo precedettero non hanno mai giocato in NFL, altri si sono ritirati da tempo senza mai avvicinarsi ai suoi livelli.

Eppure il 4 volte MVP del Super bowl e il 3 volte MVP della NFL è dovuto entrare nella lega in punta di piedi, da una porta di servizio. Selezionato dai New England Patriots come 199 scelta al sesto giro del draft, il penultimo round di chiamate, Tom era dato da tutti gli scout, nella migliore delle ipotesi, come un buon quarterback di riserva. Il suo scouting report parlava chiaro: sì l’altezza era buona, era buona la capacità di scrollarsi subito di dosso gli errori commessi e resettare il cervello, ma poco altro c’era di positivo. La sua performance alle Combine, una specie di provini pre draft, aveva evidenziato forti carenze fisiche: la corsa era lenta e goffa, la mobilità nella tasca quasi nulla, il braccio buono sui lanci corti, ma scadente sui lanci lunghi. Tuttavia a detta dei suoi allenatori all’Università del Michigan, Brady era sempre stato il più furbo, il più scaltro e il più motivato. Già da giovane aveva una dedizione assoluta nei confronti del football, per la quale passava intere giornate a studiare i libroni degli schemi o a riguardare vecchi filmati di gioco.

La grande convinzione nelle sue qualità lo ha sempre reso immune alla pressione e agli avvenimenti attorno a lui, anche dopo alcuni evidenti errori commessi in partita: forse fu proprio questo credere in se stesso contro tutto e tutti che lo spinse, nei giorni seguenti il draft, a presentarsi a Robert Kraft, proprietario dei Patriots, come “la migliore decisione che questa organizzazione abbia mai preso”.

E sicuramente Tom Brady ha mantenuto la sua promessa. Con 16 titoli di division vinti, il maggior numero di partite di play-off vinte e 6 Super Bowl vinti in 9 apparizioni, la sua carriera ha raggiunto vette che molti non osano neanche sognare. Non solo ha eguagliato con la vittoria nell’ultimo Super Bowl, il 53esimo, il numero di vittorie dei Pittsburgh Steelers, che però hanno vinto 6 titoli con quarterback diversi, ma Brady ha anche più apparizioni al Super Bowl di 31 squadre della NFL e viene battuto solo dalla sua stessa squadra, i New England Patriots, apparsi per 11 volte nella finalissima.

Il legame di Brady coi Patriots è indissolubile: secondo il business insider, Brady ha perso nel corso degli anni almeno 60 milioni di dollari del suo comunque non basso stipendio coi Patriots, ritoccandosi al ribasso il contratto più volte negli anni per permettere alla proprietà di rimanere competitiva anche nelle stagioni più complicate.

Per molti il merito di questi incredibili 19 anni è di Bill Belichick, dal 2000 head coach dei Patriots, che ha inserito Tom Brady in un sistema perfetto. Eppure sarebbe possibile dire esattamente il contrario. Ma sono i fatti quelli che parlano, quelli che ci dicono che insieme Brady e Belichick hanno battuto praticamente ogni record immaginabile e hanno guidato i Patriots nella dinastia sportiva più lunga della storia del football, un’impresa titanica negli sport americani, pensati con un complesso sistema di freni e leve, tali da garantire l’avvicendarsi sulla vetta del maggior numero di squadre possibili.

Nonostante Brady sia definito come il Michael Jordan del football e nonostante la sua sia la classifica storia di scalata al successo all’americana, il quarterback risulta poco amato dal pubblico. Addirittura due anni fa, all’alba del Superbowl 51 contro gli Atlanta Falcons, il Guardian si chiedeva in modo sarcastico come mai alla gente non piacesse un milionario con la moglie top model e di cui si mormorano simpatie repubblicane, se non addirittura trumpiane. Sulla sua reputazione in America ha inoltre inciso anche il caso deflegate, l’indagine iniziata nel 2015 per stabilire se i Patriots avessero usato di proposito dei palloni sgonfi nell’ultima partita di campionato valevole per l’accesso al Super Bowl, poi vinto contro Indianapolis. Brady fu sospeso per 4 giornate, con la motivazione che era più probabile che fosse informato dei fatti piuttosto che il contrario. Nello stesso anno però Brady vincerà il superbowl contro i Falcons in quello che è forse il superbowl più bello di sempre, con i patriots guidati dal loro instancabile quarterback che guida una rimonta dal 28 a 3 per i falcons della fine del 3 quarto al 34 a 28 per i patriots della fine.

E forse la magia di Brady è proprio questa: non un braccio potente come quello di Rodgers, non una mobilità scoppiettante come Wilson, ma la capacità di entrare in campo e di scuotersi di dosso tutte le critiche, tutti gli sfottò, tutte le invidie e guidare ancora una volta da esperto condottiero l’attacco dei New England Patriots.

Fed. For.