“Legends”. La grande storia di Thierry Henry

Noi siamo italiani, e da italiani quando sentiamo “Francia” storciamo quasi sempre il naso. Soprattutto se parliamo di calcio: Italia e Francia sono rivali da sempre e lo saranno per sempre. Ma una delle poche cose su cui anche gli italiani sono d’accordo, è l’apprezzare la forza di uno dei migliori attaccanti degli ultimi 25 anni, e probabilmente uno dei migliori della storia del calcio, non importa che sia francese. Il suo nome è Thierry Henry. Per gli amici e per i fan, Titì.

Thierry nasce a Parigi nel 1977 da padre guadalupense e madre martinicana. Il suo talento calcistico è lampante fin da bambino, e fa la spola tra vari piccoli club parigini, arrivando poi a giocare nelle giovanili dello Chatillon. Nel 1990, a 13 anni, viene visto da un osservatore del Monaco in una gara in cui segna ben sei reti. Il Monaco decide di tesserarlo senza provino preliminare e inserirlo nella propria primavera. A 17 anni, nel 1994, fa il suo esordio tra i professionisti, sotto la guida di un certo Arsene Wenger. Il tecnico francese utilizza Henry come ala, per sfruttare le sue doti tecniche e di velocità, ma durante gli anni al principato Henry viene schierato un po’ in tutti i ruoli d’attacco, risultando efficace in ogni posizione. Nel 1997 il Monaco vince il campionato e nella stagione successiva Titì spinge il suo Monaco fino ad una storica semifinale di Champions League, siglando 7 gol in coppa, record per un calciatore francese.

Nel gennaio del 1999, dopo 141 partite e 28 reti, Henry lascia il Monaco per trasferirsi alla Juventus, orfana in quella stagione di Alessandro Del Piero, messo ko da un infortunio. All’inizio non trova spazio, l’allenatore Marcello Lippi non vede in Henry un giocatore utile alla causa, ma con l’arrivo in panchina di Carlo Ancelotti le cose cambiano. Ma in realtà non vanno benissimo: Ancelotti lo schiera come esterno di centrocampo, non il massimo per uno con la vena realizzativa di Titì. Il tecnico romagnolo dichiarerà anni dopo: “ho sbagliato con lui, pensavo fosse un esterno. Forse è l’unico grande rimpianto della mia carriera”. Le strade di Henry e della Juventus si separano alla fine di questa stagione: dopo degli screzi con l’allora direttore generale bianconero Luciano Moggi, Titì fa le valigie e si trasferisce a Londra, sponda Arsenal. A volere a tutti i costi il suo acquisto è il manager della squadra, una sua vecchia conoscenza: Arsene Wenger.

Con i Gunners arriva la vera consacrazione del talento cristallino di Henry. Wegner decide definitivamente il ruolo per il suo pupillo: centravanti. Ed Henry lo ripaga subito! 26 reti alla prima stagione, 22 alla seconda, 32 alla terza! Segna almeno 30 gol per cinque stagioni consecutive. Titì diventa ovviamente l’idolo dei tifosi dell’Arsenal, ma viene osannato da tutta l’Inghilterra e ammirato e rispettato in tutto il mondo: raramente si era visto una prima punta con quel tocco di palla e quell’eleganza. Henry vince la Scarpa d’oro (premio al miglior cannoniere d’Europa) nel 2004 e nel 2005: fino ad allora mai nessuno ci era riuscito per due anni consecutivi. Verrà poi eguagliato da Messi e Cristiano Ronaldo. Eguagliato ma non superato. I suoi gol, ma anche i suoi assist, portano nel 2006 l’Arsenal in finale di Champions League per la prima volta nella sua storia, contro il Barcellona e Henry fornisce l’assist per il vantaggio dei londinesi, che però subiranno la rimonta spagnola e perderanno la partita.

Dopo 8 anni all’Arsenal e dopo essere diventato il più forte giocatore della storia della squadra, dopo 226 gol in 370 presenze e dopo la vittoria di 2 campionati, 3 coppe d’Inghilterra e 2 Supercoppe, Titì si trasferisce proprio al Barcellona, formando con Leo Messi e Samuel Eto’o un tridente d’attacco che allora veniva definito “illegale”. Non essendo

più l’unica stella della squadra, le sue statistiche si abbassano inevitabilmente, ma nel 2009 arriva la Champions League, l’unico grande trofeo che mancava alla sua bacheca. Seguiranno 2 scudetti, 1 coppa di Spagna, 1 Supercoppa spagnola, 1 Supercoppa europea e 1 Mondiale per club.

Nel 2010, a 33 anni, Henry decide di trasferirsi oltreoceano e accasarsi ai New York Red Bulls, diventando ovviamente la star del campionato. Visto che la stagione negli States comincia a marzo, nel gennaio 2012 Titì ha la possibilità di andare in prestito per due mesi in una squadra europea per restare in forma e mantenere il ritmo partita. E visto che, come diceva qualcuno, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, Henry torna a vestire la maglia dell’Arsenal! Rete all’esordio in coppa, rete all’esordio in campionato e nuova apparizione in Champions: la sua seconda volta a Londra dura soltanto 7 partite, ma le soddisfazione non sono mancate. Seguono altre tre stagioni a New York, nelle quali va sempre in doppia cifra di gol.
Nel dicembre 2014 Thierry Henry annuncia il suo ritiro da una carriera che l’ha portato a giocare quasi 1000 partite e a segnare 450 gol. Niente male.

Ma forse le soddisfazioni maggiori, ed anche le controversie maggiori, Titì le ha vissute con la nazionale francese. Miglior marcatore della storia della nazionale e secondo per numero di presenze. Ricordate cosa abbiamo detto all’inizio? Quando sentiamo Francia noi italiani storciamo il naso. Con Henry in squadra la Francia vince i Mondiali 1998, eliminando l’Italia ai quarti, e gli Europei 2000, battendo in finale proprio l’Italia. Arrivano poi degli anni avari di successi, compreso il 2006, dove i francesi perdono la finale dei Mondiali proprio contro l’Italia e dove Henry gioca a mezzo servizio, visto il piccolo infortunio subito ad inizio partita. Soddisfazioni ma anche polemiche: nel match decisivo per la qualificazione ai Mondiali 2010 contro l’Irlanda, Henry controlla volontariamente il pallone con la mano e serve il compagno Gallas, che sigla la rete decisiva per il passaggio del turno. Titì verrà aspramente criticato per questo gesto, ma un singolo gesto in una singola partita non potrà mai offuscare la storia di uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio.

Emm. Pal.