Il cuore di Sardegna raccontato da Michela Murgia

“La prima volta che Maria si accorse che Tzia Bonaria usciva di notte aveva otto anni” e la mattina dopo accompagnò la madre adottiva al funerale del vicino di casa, Giacomo Littorra.

Sardegna, anni ’50: Maria Listru, quarta e indesiderata figlia di una donna rimasta troppo presto vedova, è accolta nella casa della sarta del paese, che assicura alla giovane ragazza un futuro e un’istruzione adeguata. Ma una sarta non riceve visite notturne in casa propria, non abbandona di notte il proprio giaciglio per recarsi nelle case altrui, non è protagonista di malelingue e frequenti chiacchiere di paese. Maria carpisce gli sguardi malevoli e curiosi del paese di Soreni, di cui gli abitanti si chiedono perché una donna vecchia e sola come Bonaria Urrai abbia voluto adottare una bambina, una fill ‘e anima.

Crescendo, Maria viene a conoscenza del terribile segreto che Tzia Bonaria custodisce insieme con l’intera Soreni; ed è a causa di questo segreto che la giovane Maria, ormai adolescente, decide di lasciare quella Sardegna così arretrata per la grande Torino. “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo”, l’ammonisce la seconda madre.

E dopo due anni, Maria decide di tornare, costretta a fare i conti con una pratica, quella dell’Accabadora, che aveva fin da subito deciso di dimenticare: la sua madre adottiva vive infatti gravi condizioni di salute.

Michela Murgia con “Accabadora” (Einaudi) scrive di una cultura millenaria di sortilegi e fatture, una cultura arcaica e degna di rispetto, che l’Accabadora conosce e mette a disposizione della comunità, lei che il parroco del paese non vorrebbe neanche venisse sepolta in cimitero. È Bonaria Urrai l’ultima madre, colei che “finisce” con un gesto amorevole e pietoso.

Gio. Mar. Amu.