Abissi d’Acciaio: il perturbante fascino dei robot

In un distopico futuro i Terrestri abitano enormi città sotterranee, formicai d’acciaio affollatissimi e claustrofobici, e gli Spaziali vivono agiati serviti da robot positronici. A Spacetown un omicidio rischia di divenire un caso interplanetario. Le indagini sono affidate al detective Elijah Baley, costretto a collaborare con R. Daneel Olivaw, robot dalle sembianze umane.

“Abissi d’acciaio” (“The Caves of Steel”) è figlio della mente geniale di Isaac Asimov. Primo libro del Ciclo dei Robot, pubblicato dalla rivista “Galaxy” in tre puntate nel 1953 e l’anno seguente ristampato in volume da Doubleday.

Una datective story avvincente e ben costruita, uno stile semplice e diretto per restare incollati alle pagine di un grande classico della fantascienza.

Discendenti dal golem ebraico e dal Frankenstein di Mary Shelley, gli automi antropomorfi, fino agli anni Trenta creature negative che si rivoltano contro il loro creatore, vengono da Asimov assoggettati all’uomo e reintegrati grazie alle tre Leggi della Robotica; non per questo accettati dalla razza umana, sono temuti e guardati con sospetto.

Per i suoi robot il Buon Dottore attinge dunque alla tradizione, sviluppando un aspetto importante dei robot romantici: la perturbante e affascinante somiglianza con l’uomo; ciò che turba è la difficoltà di capire dove finisca l’umano e cominci l’artificiale.

Asimov è poi maestro nella caratterizzazione dei protagonisti: se Elijah Baley è un personaggio complesso, è il robot positronico R. Daneel Olivaw la creatura misteriosa che costringe il lettore a rivedere di continuo ipotesi e convincimenti sulla sua natura. È questo di certo uno degli elementi che fa di Abissi d’acciaio un’opera notevole.

E ciò che sembra metafora della paura del diverso e delle pulsioni razziali è l’abisso di fronte al quale si trova l’uomo che riflette sui suoi limiti, le sue incertezze e su ciò che è.

Cri. Sco. d’Ab.