Se decidi di tornare a Itaca. La moderna antichità di Kavafis

Le poesie di Costantino Kavafis (Garzanti) sorprendono. Sorprendono per il particolarissimo accostamento di contrasti – stilistici e tematici – e per il modo in cui vengono pacificati in un insieme che tout se tient.

Da una parte, poesie brevi e soffusamente romantiche (Dicembre del 1903, A teatro), dall’altra piccoli poemi di stile più scopertamente elevato (soprattutto nelle sezioni Gli dèi contro e Vie d’uscita); da un lato piccole cronache di vita quotidiana e intima; dall’altro, poesie che rivelano l’amore – che doveva essere davvero immenso – di Kavafis per l’antichità classica.

Tutte sono pervase da un senso di precarietà, da un resistente rammarico per le occasioni perdute che non si addolcisce nemmeno nelle ultime sezioni della raccolta.

Eppure, in questa onnipresente, apparente rassegnazione per le cose che non possono essere diverse da come sono, emerge la volontà forte di non rinunciare, di non tornare indietro: la via scelta, anche se complicata, forse sbagliata, merita di essere percorsa fino alla fine.

Sembra che il poeta greco “con l’accento di Oxford” – come scrisse Marguerite Yourcenar – abbia scritto con le parole di Plutarco alla mano.

Ne La Vita di Pompeo si legge: Navigare necesse est. E questo pare essere proprio il messaggio ultimo di Kavafis: ci sono cose più importanti di arrivi e prefissate destinazioni: ciò che dà senso all’esistenza è il viaggiare, il navigare stesso o, molto più semplicemente, il vivere la vita dandole il giusto valore, anche quando non è come vorremmo che fosse (Se non puoi fare della tua vita quel che vuoi/in questo almeno sforzati/per quanto puoi: non umiliarla).

Ben venga il viaggio allora. Kavafis però avverte che non dobbiamo aspettarci da Itaca più di quanto non avremo raccolto in noi stessi alla fine del percorso:

Itaca ti ha dato il viaggio bello.

Senza di lei non ti saresti messo in strada.

E non ha altro da darti.

Quasi a dire: mettiti alla prova, il resto tocca farlo a te.

Chi. Mel.