L'utopia realizzabile di Augé

Proviamo per un attimo ad immaginarci come quei personaggi dei cartoni animati che, trasportati dal loro slancio, non si rendono conto che il suolo sta sfuggendo sotto i loro piedi e continuano a correre nell’aria fino al momento in cui, abbassando la testa, vedono il vuoto e precipitano. Simbolicamente è questo il senso della scomparsa del tempo di cui Marc Augé ci parla nel suo ultimo libro, “Che fine ha fatto il futuro”, edito da Euthelia. Anzi, è solo uno dei paradossi.
La formula del sottotitolo è riduttiva: "nontempo" significa un tempo senza speranza, in un pianeta in cui regna un’ideologia del presente e dell’evidenza che paralizza lo sforzo di pensare il presente come storia; un’ideologia impegnata a rendere obsoleti gli insegnamenti del passato, ma anche il desiderio di immaginare il futuro. Se questo è scomparso dall’orizzonte è a causa di una globalizzazione planetaria che abbattendo le frontiere ha azzerato gli spazi, un fluire del tempo talmente veloce che ci impedisce di percepire il movimento e ci inchioda all’inerzia. Allora è il presente che impone la sua dittatura, fragile ma claustrofobica.
Attualissimo e visionario, Augé contrappone all’utopia disfattista di un mondo in cui la scienza è incapace di influire sul destino dell’uomo, e la sovrabbondanza di mezzi impedisce di riflettere sui fini, un’unica speranza: quella di un’istruzione aperta a tutti, universale. Un’utopia, certo, ma l’unico modo per far affiorare di nuovo passato, e quindi il futuro, nella coscienza collettiva.

(A. V. )