Roberto Calasso e il mestiere dell’editore

Adelphi compie cinquant’anni. E da cinquant’anni Roberto Calasso ne è il simbolo: con “L’impronta dell’editore”, il direttore editoriale della casa editrice milanese  trova modo di renderci partecipi della storia di Adelphi, ma non solo.

E’ il 1962 quando un gruppo di intellettuali – tra cui Roberto Bazlen, Luciano Foà e lo stesso giovanissimo Calasso – fondano una delle case editrici italiane più apprezzate.

Il concetto di partenza fu pubblicare libri unici: per Bazlen unico è il libro “dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”.

Dunque Adelphi si pone, già dalle origini, come casa editrice non certo “di massa”, e molti dei primi titoli sono per lo più sconosciuti: un testo tibetano, un libro popolare di etologia, un trattato sul teatro No. Negli anni del dominio culturale ed editoriale di Einaudi, Adelphi si proponeva come qualcosa di totalmente diverso.

Ciò che distingueva Adelphi, e che tuttora distingue Adelphi, è la tensione verso una forma ben definita.

E’ il concetto portante di uno dei saggi di cui si compone il volume di Calasso, direttore editoriale della casa editrice dal 1971: l’obiettivo di Adelphi è di porsi come un unico grande libro, formato da tutti i libri che la casa editrice pubblica. Un “serpente di libri”, una catena ininterrotta, dove ciascun anello è intimamente legato agli altri. E’ questa l’idea-guida nelle scelte editoriali di Adelphi, nella consapevolezza che l’editoria è un’arte nella quale sono molte di più le occasioni per rifiutare una pubblicazione, rispetto a quelle di accettarne una.

Negli anni ’70 e ‘80 la casa editrice visse il suo momento di massimo splendore, portando in Italia autori del calibro di Joseph Roth, Milan Kundera, ma anche Nietzsche. Calasso racconta un percorso che si è compiuto all’insegna di una continuità tale da fornire alla casa editrice una identità molto forte, ancora oggi unica nel suo genere. E non potevano, appunto, mancare considerazioni sull’editoria moderna – sempre più business e meno arte, gestita più da manager che da editori – e sui pericoli dell’avanzata imperante del digitale. Eppure non siamo sull’orlo del dirupo: un’editoria come quella disegnata da Calasso, è reputata dallo stesso editore ancora possibile.

Perché in fondo ciò che si deve chiedere ad un editore è che “provi piacere a leggere i libri che pubblica”. (Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, Adelphi, 2013, 164 pp, 12 €)

Fr. Ambr.