Il classico di questo mese: “Il signore delle mosche”

Un incidente aereo e una dozzina di superstiti: tutti giovani, provenienti dallo stesso Paese, che si ritrovano dispersi su un’isola deserta.

Questa è l’essenziale e suggestiva trama de “Il signore delle mosche” di William Golding edito in Italia da Mondadori.

Opera prima dell’autore, e vincitore del premio Nobel nel 1983, “Il signore delle mosche” racconta la regressione allo stato tribale rappresentando un’analisi di ciò che succede all’uomo epurato dei suoi concetti di civiltà e progresso.

L’isola è un piccolo paradise. Selvaggina in abbondanza, vegetazione rigogliosa, frutta facile da cogliere, persino una piccola “piscina” naturale. Il contesto storico è indefinito: si sa che i giovani sono inglesi, ma non è facile comprendere il luogo del disastro. Si crede siano finiti nell’Oceano Pacifico, si ignorano i motivi che hanno causato la caduta dell’aereo, si percepisce che c’è una guerra in atto.

I ragazzi sono coraggiosi e riescono a costruire una piccola società eleggendo un capo, proclamando assemblee, dividendosi i compiti. Unica priorità tenere acceso un fuoco, il cui fumo possa fare da segnale per un eventuale salvataggio.

Ma gli equilibri sono fragili, l’instabilità delle basi su cui poggiano le fondamenta della loro organizzazione lascia scivolare lo stato d’animo dei protagonisti verso la paura e l’angoscia, causando la nascita e il proliferare di sentimenti sempre più violenti. Fino a piombare nell’anarchia e nell’orrore.

“Il signore delle mosche” rimane un punto di riferimento della letteratura del secondo Novecento, e può rappresentare uno spunto di riflessione interessante su una visione della società improntata al pessimismo ed alla scarsa fiducia verso la convivenza pacifica degli uomini.

M. T.